C'era una volta, anzi c'è ancora, Gigi Riva: l'uomo che viveva, giocava, segnava e parlava in silenzio
Un ricordo del più grande, ma più grande per davvero, goleador italiano di sempre. Con dolore e rimpianto enormi, ma con una consolazione: per fortuna giocò negli anni 60 e 70, oggi non avrebbe retto
Adesso che te ne sei andato, caro e amato e unico Gigi Riva, in silenzio come in silenzio hai sempre preferito vivere, giocare e persino parlare - perchè parole erano i tuoi silenzi profondi -, adesso che hai deciso di metterti in disparte così tanto, troppo per chi non ha mai smesso di seguirti e di amarti, a chi resta e ha tanta vita dietro di sé non rimane che dire, a mo’ di consolazione: beh, io c’ero quando Gigi Riva giocava. Erano i meravigliosi anni Sessanta e Settanta e Riva, eroe del Cagliari e della nazionale, è stato un po’ anche il mio eroe. Riva non giocava per il Cagliari: giocava per tutti. Spiegarlo è impossibile, ma Gigi Riva era di tutti. E che fortuna è stata, caro Gigi, che tu sia nato nel 1944; e che abbia giocato nel calcio e nel mondo - appunto - degli anni Sessanta e Settanta e abbia evitato di farlo al giorno d’oggi, nel calcio e nel mondo del nuovo millennio. Non ti saresti trovato bene, lo sai?
Oggi i calciatori - ed è stata una conquista di civiltà, sia chiaro: nessuno lo nega - non sono più come ai tuoi tempi proprietà del loro club. Oggi i calciatori sono liberi di giocare per la squadra che più gradiscono e di scegliere, a ogni fine contratto, il club in cui trasferirsi: generalmente quello che li ricopre di milioni. Oggi i calciatori hanno il manager che li mette all’asta, che li consiglia e li indirizza, che ottimizza guadagni e palmares, ma tu - io lo so - ti saresti trovato a disagio. Tu amavi Cagliari e il Cagliari e la Sardegna e tanto altro che non apparteneva al calcio; al punto da dire di no alla Juventus, all’Inter e al Milan in un’era in cui non esisteva il diritto al rifiuto: se la società voleva venderti, dovevi andartene. Oggi succede il contrario: vado dove offrono (dove mi offrono) di più e di meglio. E no, non ti saresti trovato bene.
Oggi i calciatori, non solo gli attaccanti, ogni volta che fanno gol non esultano semplicemente come facevi tu: le due braccia al cielo in segno di gioia e poi basta, finiva lì, e quasi ti vergognavi quando i compagni venivano a congratularsi e ad abbracciarti. No, oggi ad ogni gol i giocatori mettono in scena una coreografia, un tripudio studiato a tavolino magari col consiglio di qualche art director. Ognuno ha la sua esultanza personalizzata: c’è chi balla, chi fa capriole, chi mostra la lingua e fa le boccacce, chi indica il proprio nome scritto sulla schiena, che si mette le mani alle orecchie come a dire “non sento, urlate di più”, chi rivolge sguardo e indice al cielo rivolto a qualcuno che non c’è più eccetera eccetera. Beh, tu, che hai perso il papà da bambino e la mamma di lì a poco, non ce l’avresti fatta. Non così: semmai nell’intimo del tuo animo. Il carosello delle esultanze ti avrebbe messo a mal partito e - ne sono certo - se ti avessero obbligato ad adottarne una avresti preferito smettere di segnare. No, non ti saresti trovato bene.
Oggi i calciatori hanno gli account social, Facebook, Instagram, Twitter, Tik Tok, e sugli account social raccontano e mostrano tutto di sé; e non solo di sé, ma anche delle loro fidanzate e mogli, delle loro compagnie, delle loro vacanze, delle loro ricorrenze. Oggi i calciatori hanno i canali web e le tv: e se segnano un gol o colpiscono un palo o prendono una manata in faccia sono subito lì a raccontare la prodezza, o la sfortuna, o la disavventura. Tu invece segnavi i gol che facevano vincere al Cagliari - e sottolineo al Cagliari - uno scudetto impossibile e irripetibile, segnavi un gol nella partita del secolo Italia-Germania 4-3 all’Azteca di Città del Messico, restavi a terra con una gamba spezzata prima in Italia-Portogallo 1-1 (1967), poi in Austria-Italia 1-2 (1970), ma non ti si vedeva mai, non c’erano glorie o sfortune da raccontare e condividere: tu tenevi tutto per te, le gioie incommensurabili e i dolori profondi perchè erano cosa tua, perchè eri il riserbo, la discrezione e la riservatezza fatte persona. Anzi, fatte calciatore. Immaginarti oggi tra veline e Tik Tok? No, non ti saresti trovato bene.
Oggi i calciatori hanno i tatuaggi. Sui polpacci e sul viso, sulle braccia e sul petto: tatuaggi che mostrano al mondo intero e di cui svelano senso, valore, significati. Oggi i compagni di squadra ti spingerebbero ad averne almeno uno, di tatuaggio: per non apparire diverso. E sì, sono sicuro che piuttosto che alzare un braccio e scoprire un tatuaggio, esultando per un gol, preferiresti passare la palla a un compagno: fosse anche Boninsegna. No, non ti saresti trovato bene.
Oggi i calciatori hanno gli status symbol: gli status symbol e gli hobby. La Ferrari e la fidanzata velina, le crociere e il padel, i ristoranti e il broker che gestisce il patrimonio. Ma a te piaceva altro: a te piaceva stare in Sardegna tra le persone che ti eri scelto, vivere riservatamente e fumare una sigaretta. Anche più d’una a dire il vero. Vinceste uno scudetto, a Cagliari, giocando a carte e fumando come ciminiere fino a notte fonda nei sabati in ritiro. A volte in stanza entrava Scopigno, l’allenatore, che vedendo tutto quel fumo timidamente diceva: disturbo se accendo una sigaretta? Beh, oggi di allenatori come Scopigno non ce ne sono più: e no, non ti saresti trovato bene.
Oggi i calciatori fanno un gol in nazionale, o anche solo in prima squadra, magari su rigore, e i giornali subito li paragonano a Piola o a Paolo Rossi, a Meazza o a Bobo Vieri. Se arrivano a 7 gol in nazionale sono dei fenomeni, a 15 sono leggenda. Tu di gol in azzurro ne hai segnati 35 in 42 partite, praticamente un gol a partita: e quando di partite se ne giocavano poche e i mondiali erano a 16 squadre e non a 32: e di fuffa - leggi: squadre materasso - ce n’era poca in giro, ogni partita era una partita vera. Beh, caro Gigi, sappi che a dispetto di tutto, delle Nations League e dei Mondiali e degli Europei a 32 squadre, il tuo record di 35 gol è destinato a restare imbattuto a lungo, quaggiù. Diciamo per un secolo almeno. Cioè un infinitesimo del tempo del ricordo che ci resterà di te.
fulgido esempio d'atleta a cui i giovano calciatori (e non solo) dovrebbero ispirarsi !
Dopo aver letto il tuo articolo provo quasi invidia x chi, come te, lo ha visto giocare ed apprezzato le gesta.
Dei giocatori di oggi rimarrà solo un balletto si tiktok.