Quando la Triade juventina promosse Mazzini vicepresidente federale per poter fare grazie a lui ciò che voleva
Il racconto dell'investitura segreta nella testimonianza diretta di Massimo Gerbi, autore del libro "All'ombra del declino" - La moglie di Mazzini: "Gli hanno detto che deve diventare un loro uomo"
(dal libro “All’ombra del declino”, Zolfo editore, scritto da Massimo Gerbi, figlio dell’ex presidente del Torino Mario Gerbi: il racconto per testimonianza diretta di quando, come e perchè Innocenzo Mazzini, il vice presidente FIGC radiato dalla Corte Federale nel 2006 per lo scandalo di Calciopoli per “la straordinaria ed efficiente gravità delle condotte” e il “disprezzo mostrato verso la prestigiosa carica di Vice Presidente federale”, condotte che evidenziarono in modo inequivocabile “slealtà, scorrettezza e assenza di senso di probità”, divenne per volere della Triade juventina Moggi, Giraudo e Bettega il vice di Franco Carraro alla presidenze federale ma a tutti gli effetti e principalmente uomo al servizio della Juventus)
“Luciano Nizzola viene eletto presidente della Federcalcio il 14 dicembre 1996, dopo il commissariamento di Raffaele Pagnozzi e qualche mese di tensioni e discussioni in tutte le componenti della Figc. Poco prima, ero stato nominato vicecommissario del Settore giovanile a Roma, nomina che si sarebbe trasformata in vicepresidente all’inizio del ’97, in seguito all’elezione alla presidenza di Innocenzo Mazzini. Passo quindi da una gestione di livello regionale al livello nazionale, il che mi costringerà in tutti i casi a spostarmi a Roma almeno un giorno alla settimana.
Ho così l’occasione di conoscere meglio, dopo che comunque ci eravamo già intrattenuti insieme parecchie volte, colui che per quattro anni sarà non solo il mio presidente, ma anche persona di riferimento e di fiducia, e in modo sicuramente reciproco, pur con le differenze di ruolo. Innocenzo è all’epoca un medico internista di Medicina generale, molto competente, attento, sempre disponibile; ha una splendida famiglia tutta al femminile, una moglie santa – perché seguirlo non è cosa da tutti – e due belle gemelle. È persona intelligente, acuta, un vulcano sempre in attività, circondato da amici e conoscenti che, letteralmente, gli girano attorno. Si comporta alla stessa maniera anche in Federazione: non potrebbe essere diverso, è in qualche modo strabordante.
(…)
Hotel Ligure in piazza Carlo Felice, proprio davanti alla stazione di Porta Nuova, in pieno centro (oggi quest’albergo non esiste più). Innocenzo arriverà con la moglie e una delle gemelle, si tratterrà ancora ventiquattr’ore per cogliere l’occasione di faretrascorrere qualche ora nella nostra città a una parte della sua famiglia. Solo turismo? No: la Triade juventina, Moggi, Giraudo e Bettega, sapendo della sua venuta a Torino, gli ha dato appuntamento all’Hotel Le Méridien del Lingotto per le sei e mezza di sabato: hanno urgenza di parlargli e sono lì in ritiro prepartita, come fanno sempre quando la Juventus gioca in casa.
«Senti, Massimino, mi hanno chiamato l’altro giorno e mi hanno detto che hanno bisogno di parlarmi, che mi vogliono fare una proposta per il futuro. Ma che vuol dire?!» esordisce lui.
«Chi ti ha chiamato dei tre?», gli chiedo.
Lo ha chiamato «Lucianone», Moggi. Gli chiedo se ha parlato a nome suo, a nome suo e di Giraudo, o per tutti e tre, e Innocenzo, malgrado un’iniziale titubanza, mi dice di essere sicuro che la chiamata era a nome di tutti e tre, tant’è che l’appuntamento sarà con tutti e tre.
«Sai che significa questo?»
E lui: «Posso immaginarlo, ma voglio sentirlo da te».
«Vuol dire che si parla di un rapporto personale perché ti ha parlato Moggi; che si parla della Federazione perché c’è Giraudo consigliere federale; che si parla di e per la Juventus perché ci sono tutti e tre. Guarda che qui la forma è sostanza e non è un modo di dire: conta, eccome se conta!»
Gli chiedo anche se Lucianone gli abbia già anticipato qualcosa sull’argomento dell’incontro, ma lui mi spiega che non gli è stato detto assolutamente nulla.
(…)
Domenica mattina, alle ore 8.30 in punto, entro in albergo, giro a destra e faccio una rampa di scale fino al salone delle colazioni del primo piano. Percorro pochi metri a sinistra e da lontano vedo il tavolo con la famiglia Mazzini già seduta: è chiaro che mi attendono, è altrettanto chiaro che qualcosa non va, che ieri sera non tutto è andato per il verso giusto. Non parlano tra loro, nemmeno Innocenzo parla; tengono la testa bassa.
Arrivo, mi siedo e prima di poter dire una sola parola, vengo travolto dalla signora Mazzini: «Massimo, ma dove ci hai mandato? Ma con chi ci hai mandato?», dice con un tono più disgustato che alterato, quasi a chiedere, più che una spiegazione, una via d’uscita o addirittura un aiuto.
«Ma aspettate un attimo, non so di cosa parlate, non so cosa è successo!»
«Massimo, come sapevi sono stata invitata a una cena ieri sera, conosci chi c’era e quelli che gli girano intorno. Io non sono abituata a certe volgarità o a frequentare queste persone. Fanno schifo. E non voglio che Innocenzo faccia quello che gli hanno detto di fare», dice lei.
Io non so nulla. Non ho avuto modo di sapere nulla dell’incontro al Lingotto del pomeriggio precedente: notate che Innocenzo non ha ancora pronunciato una sillaba che sia una.
«Qualcuno mi fa per favore un riassunto di quanto è capitato?»
Con aria molto pacata e una parlata molto lenta, mi risponde Innocenzo: «Certo. Allora te la faccio breve, al pomeriggio mi hanno proposto di diventare vicepresidente federale». «No!», lo interrompe bruscamente la moglie. «Gli hanno detto di diventare un loro uomo, così sarebbe diventato vicepresidente! C’è una bella differenza! Non voglio che accetti!»
A quel punto interviene la figlia, che fino a quel momento era stata in silenzio, quasi a estraniarsi, quasi a dimostrare di non voler entrare nella discussione. «Mamma, guarda che papà tra un anno e mezzo va in pensione, poi non sa cosa fare e te lo ritrovi tutto il giorno a casa. Deve fare quello che si sente. Diglielo tu, Massimo».
(…)
Forse è meglio che il mio amico Innocenzo accetti, o forse no, perché una cosa è vera: io li conosco, quelli. E allora calo l’asso di cuori sul tavolo: «Ascoltate, tutti e tre: ora vi porto in aeroporto e ve ne tornate a casa. Poi domani sera tu, Innocenzo, dopo ventiquattr’ore di tua riflessione, alle nove esatte fai il mio numero di casa e parli con papà. Poi decidi».
«E secondo te cosa mi dice di fare?» domanda lui.
«Aspetta ventiquattr’ore e la telefonata».
Lunedì sera, ore nove, arriva la chiamata. La telefonata è serena, tranquilla: forse il mio capo ha già deciso. Certo è che papà non manca di dirgli la verità, spiegandogli in sostanza come funziona con quei Padroni che lo stesso Innocenzo descriveva come «tuoi»: «Guardi, dottore, è molto semplice. Se lei dirà di sì, diventerà un loro uomo, la porteranno in cima al mondo e le daranno quanto promesso, ma non avrà più la possibilità di decidere in autonomia, anche quando penserà di poterlo fare, anche quando le faranno credere di poterlo fare. Se dirà di no, le sorrideranno, le faranno i complimenti per la decisione, all’inizio le faranno anche credere di averci guadagnato con quella mossa, ma in realtà per loro lei non esisterà più, e lei, come si dice qui da noi, non toccherà più il boccio!».
Papà sa bene cosa farà Innocenzo, lo ha capito immediatamente. Non ho avuto dubbi nemmeno io. Va detto che la proposta è davvero notevole, molto accattivante, quasi indecente. Vi racconterò meglio nelle prossime pagine. Qui dico solo che Innocenzo Mazzini diventerà vicepresidente della Figc, mentre il mio amico Innocenzo lo ritroverò soltanto molti anni dopo al telefono, al termine di infinite vicende che hanno riguardato tutti e due, in modi diversi, in tempi diversi e in luoghi diversi. E con noi due che non muoviamo più il mondo!
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P.S. La Cassazione stabilì che l’associazione a delinquere facente capo a Moggi e Giraudo doveva considerarsi dimostrata; e anche se era intervenuta la prescrizione non chiese la modifica della condanna decretata in appello. Secondo i giudici della Suprema Corte l’associazione “era ampiamente strutturata e capillarmente diffusa nel territorio con la piena consapevolezza per i singoli partecipi, anche in posizione di vertice (come Moggi, Pairetto o Mazzini), di agire in vista del condizionamento degli arbitri attraverso la formazione delle griglie considerate quale primo segmento di una condotta fraudolenta”. Dai giudizi che il direttore generale juventino esprimeva in tv e sui media “potevano dipendere le sorti di questo o quel giocatore, di questo o quel direttore di gara con tutte le conseguenze che ne potevano derivare per le società calcistiche di volta in volta interessate”. Di Luciano Moggi la Cassazione afferma che aveva una “poliedrica capacità di insinuarsi, sine titulo, nei gangli vitali dell'organizzazione calcistica ufficiale (FIGC e organi in essa inseriti, quali l'AIA)”. Senza timore di cadere in “enfatizzazioni”, Moggi dimostrava una “incontroversa abilità di penetrazione e di condizionamento dei soggetti che s’interfacciavano con lui”.
In quanto alla giustizia sportiva, che radiò Moggi, Giraudo, Mazzini, Bergamo, Pairetto e De Santis, sul conto di Luciano Moggi, personaggio apicale della Cupola, la Commissione Disciplinare scrisse:
“Dall’esame delle decisioni in questione risulta evidente l’intrinseca gravità dei fatti e le aberranti conseguenze a cui ha condotto il modo di concepire la competizione sportiva e i rapporti tra le Società partecipanti ai campionati e tra tesserati che ha connotato l’agire del deferito. In particolare, non può non rilevarsi come le modalità stesse dell’illecito nella componente correlata alla inaccettabile violazione delle regole di lealtà, correttezza e probità abbiano suscitato un rilevante allarme sociale, tanto più a fronte delle implicazioni che il campionato di calcio comporta sul piano sociale, economico e dell’ordine pubblico. In proposito, è sufficiente considerare che nelle “sentenze rese” è stato accertata, tra l’altro, “la piena e concreta attitudine” del Moggi “a falsare la classifica” attraverso una continua “opera di condizionamento del settore arbitrale”, attitudine che si è concretizzata in una serie di “episodi, ripetuti nel tempo e nello spazio, incontroversi nella loro storicità” tutti obiettivamente tendenti “al conseguimento dello scopo di alterazione della competizione per effetto del condizionamento della classe arbitrale”, nonché “dell’ulteriore vantaggio dell’alterazione della classifica e dell’ottenimento della vittoria del campionato, della rimarchevole e irreparabile alterazione della parità di condizioni di contendibilità del titolo sportivo rispetto a molte altre squadre”: in definitiva, una condotta illecita e antidoverosa che, seppure non formalmente idonea a dare vita a un “sistema” solo per difetto della previsione dell’illecito sportivo associativo, sicuramente era connotata dal “carattere altamente inquinante della sistematicità e della stabilità organizzativa”.
La storia del calcio italiano sarebbe il soggetto perfetto di un film di Hitchcock.
Quel tipo di film dove alla fine scoprì che nulla era come sembrava e che il colpevole era sempre stato sotto i tuoi occhi, fin dalla prima inquadratura.
E ancora oggi Moggi pontifica una volta alla settimana sul quotidiano Libero !