Vita da giornalista: quando alla Milano-Sanremo 1983 venni "processato" per aver dissacrato la figura dell'inviato speciale (parte I)
Le situazioni da commedia all'italiana vissute da inviato di calcio e di ciclismo sono state un'infinità: comincio oggi a raccontarne una vissuta al "Giorno" una quarantina di anni fa (bei tempi!)
Siccome siete in tanti a chiedermi, avendo io quella che si dice “una certa età”, di raccontare qualche aneddoto, retroscena o avventura della mia carriera di giornalista e di cronista, magari sorprendendovi un po’ inizierò a farlo partendo da questa foto.
La foto ritrae Octavio Dazzan, argentino naturalizzato italiano, un corridore su strada ma soprattutto pistard che chi era giovane come me negli anni 70 e 80 ricorderà bene: vinse tre ori nella velocità agli Europei e quattro medaglie d’argento e due di bronzo, tra keirin e velocità ai campionati del mondo su pista. A quei tempi, che seguivano quelli mitici di Maspes, Gaiardoni e Faggin, molto seguiti.
Parto da questa foto, per entrare in argomento, chiedendovi di tenere a mente la scritta che compare sulla maglia di Dazzan: quella del club per cui corse negli anni 1983 e 1984, “Amici della pista”. Non prima di avervi detto che a quei tempi io lavoravo al “Giorno” di Milano diretto da Guglielmo Zucconi, il papà di Vittorio (Corriere della Sera, Repubblica, Radio Capital, scomparso nel 2019), giornale in cui ero arrivato dal Guerin Sportivo nel 1981 a 27 anni; e non prima di avervi detto due cose sul quotidiano “Il Giorno”. Il cui direttore Baldacci fin dal giorno della fondazione (21 aprile 1956) aveva chiamato a dirigere la redazione sportiva Gianni Brera, allora 37enne ma già straordinariamente affermato (a 30 anni era diventato direttore della Gazzetta dello Sport, solo per dirne una). L’inserto sportivo del lunedì, una delle peculiarità che contraddistingueva “Il Giorno” oltre all’inserto “Il Giorno per ragazzi” del giovedì, portava il quotidiano a vendere mediamente 40 mila copie in più; il calibro dei giornalisti - non solo sportivi - era di assoluta eccellenza e questo timbro di qualità rimase impresso nel dna della redazione sportiva anche quando nel ‘67 Brera se ne andò per assumere la direzione del Guerin Sportivo, che sotto di lui per gli amanti dello sport e della buona lettura divenne qualcosa di irripetibile e leggendario.
Allo sport del “Giorno” rimase invece per lungo tempo il migliore e più fedele amico di Brera, Mario Fossati: i due si erano incontrati e conosciuti alla Gazzetta e pur con caratteri diametralmente opposti (estroverso e spavaldo Brera, introverso e taciturno Fossati) avevano fortissimamente legato. Anche Mario Fossati era un giornalista dalla scrittura eccelsa e con una conoscenza e una competenza uniche nell’ippica, nell’atletica leggera, nel ciclismo e in moltissimi altri sport.
Inutile dire che al “Giorno” il titolare indiscusso della rubrica di ciclismo era lui. E ogni tanto a fargli da vice o ad affiancarlo nelle corse più importanti c’era Beppe Maseri. Tutti e due monzesi (classe ‘22 Fossati, classe ‘45 Maseri), il loro rapporto era stato a lungo amichevole: Fossati aveva speso più di una buona parola per portare Beppe, che a Monza scriveva e si occupava di hockey a rotelle, al “Giorno”. Col tempo tuttavia questo rapporto era andato via via deteriorandosi e il motivo era principalmente uno, il ciclismo: che era la grande passione e aspirazione professionale di Beppe ma che la presenza di un gigante come Fossati trasformava per lui in una chimera. Lo screzio continuo, anche se tenuto sottotraccia, fra Maseri e Fossati fu una delle prime cose di cui i colleghi mi misero al corrente, affinché mi raccapezzassi, quando approdai alla redazione sportiva del “Giorno”: oltre a raccomandarmi di non commettere mai l’errore di prestare soldi a Gian Maria Gazzaniga, il consiglio che mi venne dato era di non fare caso ai borbottii e ai vaffa a mezza voce che avrei visto rimbalzare tra l’imbronciato Fossati e il risentito Maseri. Era per via del ciclismo. Che Beppe voleva. E che Mario non mollava.
Direte: okay, ma che ci azzecca tutto ciò con la foto del pistard Dazzan con la maglia di “Amici della pista” e il mio racconto? Ancora un passaggio e ci arriviamo. Un passaggio delicato, però, come non stenterete a capire. Succede infatti che nell’inverno del 1982, cedendo alle insistenze di Gianni Brera che era passato a Repubblica e voleva che l’amico di sempre lo raggiungesse su quelle pagine, Mario Fossati decide di lasciare il “Giorno” - dove lavorava sin dal giorno della sua fondazione - per passare al giornale diretto da Eugenio Scalfari che aveva appena compiuto 6 anni e che era la grande novità editoriale del momento, un po’ come lo fu il “Giorno” negli anni che seguirono la sua nascita.
Quella di Fossati è una perdita enorme per la redazione sportiva del “Giorno”: per tutti ma non per Beppe Maseri che intravede libera la poltrona del ciclismo su cui Fossati era rimasto seduto ininterrottamente dal 1956 e sulla quale conta ora di andare finalmente ad accomodarsi. Come è prassi consolidata nei giornali: se un titolare va via, il suo vice ne prende il posto. Che succede invece?
Succede che il direttore Zucconi, il vice direttore Magnaschi e il caposervizio e il vice-caposervizio dello sport del “Giorno”, Sardone e Grigoletti, si riuniscano un giorno nell’ufficio del direttore per discutere il problema, serio, della successione di Fossati. Su un punto sono tutti concordi: sotto il profilo della qualità di scrittura, la perdita di Mario Fossati non è in alcun modo rimediabile nemmeno andando a cercare un talento altrove. Come scrive Mario Fossati non scrive nessuno. Stabilito ciò, Zucconi dice che il solo modo per sparigliare le carte e uscire dall’impasse è operare un’inversione a U. E domanda: qual è la cosa in cui Fossati come inviato di ciclismo non eccelleva? Qual era, se c’era, un suo tallone d’Achille? Sardone e Grigoletti rispondono: il fatto cronistico. Il non avere, spesso, la notizia di giornata: magari una notizia non trascendentale ma che gli altri giornali riportano e il “Giorno” no. Zucconi incalza: e ancora? Forse, dicono Sardone e Grigoletti, un filo di leggerezza in più: una nota capace di stemperare, di indurre al sorriso. Un timbro di racconto più fresco e più al passo con i tempi.
Tutto ciò valutato, e esaminati i vari profili, viene alfine presa la decisione: che è quella di affidare il ciclismo (e il suo racconto) al sottoscritto. Nientemeno. Io come ho detto lavoro al “Giorno” da appena un anno e mezzo e non so niente di quel che sta bollendo in pentola: saranno Sardone e Grigoletti a raccontarmi poi i retroscena del summit nell’ufficio del direttore. Ma nei miei primi diciotto mesi, vedendo una redazione che a fronte di un’attenzione maniacale alla qualità di scrittura si è un po’ adagiata sul fronte dell’attenzione alla notizia - non per niente i colleghi degli altri giornali ci chiamano “Quelli del Giorno dopo” -, ho provato a dare qualche scossone: perchè scrivere bene va bene, ma dare le notizie (magari scritte bene) è meglio. Al “Giorno” devono poi avere apprezzato lo stile ironico e disincantato della mia scrittura: al punto che di lì a poco, su mia proposta, avrò l’okay per inaugurare nelle pagine dell’inserto del lunedì le prime rubriche satiriche sui mezzibusti televisivi di Novantesimo Minuto cui nessuno ha mai prestato attenzione nonostante siano ormai assurti a personaggi di popolarità strabordante. Porterò avanti queste rubriche per anni con un successo e con un riscontro di pubblico inimmaginabili: saranno in assoluto le prime rubriche di critica (ironica) sul calcio in televisione pubblicate da un giornale.
(1. fine prima parte, continua)
i Giornalisti come Ziliani non dovrebbero andare in pensione mai !!!!!
Bellissimo, magari qualcuna di quelle "critiche" riportarla anche qua, grazie mille.